AGGRESSIONE RAZZISTA IN STAZIONE A UDINE

Riceviamo e diffondiamo questo volantino distribuito da alcun* antirazzist*  nel quartiere di borgo stazione a Udine sull’aggressione razzista accaduta lunedì 3 febbraio 2020 nella stazione di Udine.

Massima solidarietà alla donna aggredita, massimo disprezzo verso l’aggressore!

L’INDIFFERENZA E’ COMPLICITA’

Lo scorso lunedì 3 febbraio, il conduttore della tabaccheria all’interno della stazione dei treni di Udine ha aggredito una donna nigeriana che voleva acquistare un biglietto dell’autobus, prima chiamandola “puttana”, poi tirandola per i capelli e picchiandola alle gambe con una mazza al grido di “puttana io ti ammazzo”.
I media parlano di un “diverbio”, come spesso accade quando chi subisce violenze e pestaggi non sono bianchissime/i cittadini /e italiane/i, ma al Pronto Soccorso sono stati evidenziati lividi da percosse con bastone

Il tabaccaio aggressore si è mostrato per quello che è, un infame razzista che non ha esitato ad assalire la donna perché questa non aveva la pelle del suo stesso colore, sotto gli sguardi indifferenti di diverse persone, che hanno ritenuto non fosse necessario intervenire ma godersi la scena “come in un film” (cit).

Queste persone, volenti o nolenti, sono complici e responsabili dell’azione xenofoba e violenta di lunedì. Viviamo purtroppo tempi in cui si allargano le frange di “bravi e onesti cittadini/e” ben disposti a voltarsi dall’altra parte di fronte ad azioni una volta ritenute intollerabili.
Sono gli stessi e le stesse che, con i loro atteggiamenti, legittimano il diffondersi della violenza diretta esclusivamente verso persone sempre più percepite come diverse, marginali, “pericolose” e quindi perseguitabili: migranti, poveri, donne, omosessuali…

Noi esprimiamo tutta la nostra solidarietà alla donna colpita e tutto il nostro disprezzo non solo verso il tabaccaio razzista ma anche verso chi nulla ha fatto per impedire che l’aggressione avvenisse.

Infine invitiamo tutti e tutte voi che attraversate lo spazio della stazione a ricordarvi di quanto successo.

A razzisti e razziste non deve essere permesso di agire indisturbati, rispediamo al mittente i loro discorsi di paura e odio verso l’altro.

CHE LA PAURA CAMBI DI CAMPO.
Antirazziste e Antirazzisti

27GENNAIO-2FEBBRAIO: SETTIMANA DI AZIONI E MOBILITAZIONI PER LA CHIUSURA DI TUTTI I CPR, PER LA LIBERAZIONE IMMEDIATA DI TUTTE LE PERSONE RINCHIUSE E PER VAKHTANG.

27GENNAIO-2FEBBRAIO: SETTIMANA DI AZIONI E MOBILITAZIONI PER LA CHIUSURA DI TUTTI I CPR, PER LA LIBERAZIONE IMMEDIATA DI TUTTE LE PERSONE RINCHIUSE IN ESSI E PER VAKHTANG.

Vakhtang è stato ammazzato di botte dalle forze dell’ordine all’interno del CPR di Gradisca.

Ce l’hanno raccontato i reclusi, quella stessa notte del 18 gennaio, quando siamo andate sotto le mura del CPR a parlare con loro, avendo saputo della morte di una persona.

Ce l’hanno gridato, chiamandoci e inviandoci video, con il coraggio di chi sapeva che nessun altro, se non loro, avrebbe fatto uscire quello che era realmente successo lì dentro.

La Questura e la Procura hanno fatto di tutto, fin dall’inizio, per liquidare la sua morte: “migrante morto per rissa” titolavano i giornali il giorno seguente alla pubblicazione della prima notizia da parte di Melting Pot.

Siamo riuscite a far uscire quelle voci, come altrove fanno da anni altri solidali, e da tutta Italia tante persone hanno ascoltato le testimonianze e ci hanno creduto. Anche il giorno successivo, domenica 19, siamo tornate in tante davanti al CPR, mentre i detenuti ci chiamavano, sottraendosi ai pestaggi che – ci dicevano – venivano riservati a chiunque parlasse con chi era fuori. Le direttive sembravano chiare: nessuno doveva più riuscire a comunicare con l’esterno. La notte hanno cercato di sequestrare tutti i cellulari, una “bonifica” che la procura ha giustificato “ai fini dell’indagine”. Quella stessa notte, a sorpresa, un deputato ed un avvocato si sono presentati in visita al CPR, trovando le forze dell’ordine in assetto antisommossa che parlavano del sangue presente nella struttura.

La stampa ha iniziato a riportare la versione dei compagni di Vakhtang: per un giorno è uscito che qualcuno diceva fosse stato ammazzato di botte, un “Cucchi” straniero e non in carcere. Prontamente il procuratore ha dichiarato che erano “tutte illazioni” e il 21 alle 4 di mattina sono stati deportati in Egitto, senza che nessuno lo sapesse, i tre compagni di cella di Vakhtang, che erano tra coloro che si erano detti disponibili a testimoniare. Questo è il modo in cui la “procura sta indagando”, come ci dicono i giornali.

Quando la verità di chi aveva assistito è iniziata a filtrare, la stampa ha iniziato a etichettare l’assemblea che sta diffondendo le voci dei reclusi come gruppo di ultras e incitatori di rivolte -come se le rivolte necessitassero d’incitazione dall’esterno-, cercando di delegittimarla. In contemporanea, si sono seguiti molteplici tentativi di minare la credibilità dei reclusi. Vakhtang è stato descritto come violento, tossico e autolesionista, forse sperando che in questo modo l’empatia verso la sua morte si esaurisse. I reclusi in generale sono stati definiti stupratori, spacciatori, criminali.

Vakhtang era una persona, viva, con i propri sogni, rinchiusa in un girone infernale creato da leggi razziste. I reclusi e le recluse in tutti i CPR d’Italia sono persone, rinchiuse dentro lager esclusivamente per non avere i documenti in regola.

Nei CPR in Italia ci sono alcune centinaia di persone e non sempre la reclusione si conclude con la deportazione, spesso le persone vengono liberate con un “foglio di via” che le costringe a vivere in stato di clandestinità.

Le persone deportate, invece, si ritrovano costrette nel loro Paese d’origine senza la possibilità di tornare in Italia, dove hanno vita e affetti, ricondotte al punto di partenza di un viaggio terrificante già affrontato. La minaccia della deportazione è la più grande che una persona non comunitaria possa ricevere: i CPR, teatri di abusi e peggiori delle carceri, servono a rendere reale quella minaccia. Tutto ciò è utile affinché le persone debbano accettare condizioni di lavoro disumane, pur di mantenere un contratto, vincolato al permesso di soggiorno.

La legalità farà il suo corso, perché delle persone vi si dedicheranno, e forse un giorno qualcuno sarà giudicato colpevole. Adesso, però, spetta a noi non permettere che l’omicidio di Vakhtang passi sotto silenzio e fare il possibile perché tutti i CPR chiudano per sempre.

Incoraggiate dalla risposta solidale ricevuta da tutta Italia, lanciamo una chiamata per una settimana di azioni e mobilitazioni per la chiusura di tutti i Cpr, per la liberazione immediata delle persone rinchiuse in essi e per Vakhtang.

Invitiamo quindi tutti i singoli, le assemblee, i gruppi, le associazioni, le organizzazioni, i comitati a fare il possibile verso lo stesso obbiettivo. Convinti che ognuno possa esprimere la sua rabbia e il suo dissenso nel modo che ritiene opportuno, pensiamo ora sia il momento di farlo.

Che chiunque si organizzi nel luogo dove vive. Facciamo in modo che questi luoghi infernali chiudano.

-se volete inviarci le iniziative o azioni per ricapitolarle in un futuro potete scrivere a : nocprnofrontieretrieste@riseup.net

VAKHTANG ENUKIDZE È STATO AMMAZZATO DI BOTTE DALLE FORZE DELL’ORDINE DENTRO IL CPR.

OGGI MANIFESTAZIONE PARTENZA ALLE 14:30 PUNTUALI DAL PARCHEGGIO AL LATO DEL CPR.

AGGIORNAMENTI:
Ieri, nella necessità di diffondere la manifestazione di solidarietà il
prima possibile siamo riusciti a riportare solo una prima ricostruzione
parziale di ciò che era successo. Qui gli aggiornamenti ottenuti tramite
le testimonianze dei compagni di prigionia, che ci hanno chiesto di
diffondere le loro parole oltre quelle mura [su facebook e sulla pagina
web potete trovare l’audio]:

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È inizio settimana, Vakhtang non trova il telefono, non vuole tornare in
cella, resiste, viene picchiato finché non ne può più. Viene buttato in
cella, nella rabbia prende un ferro in mano e si fa male allo stomaco.
Dopo viene portato in infermeria, non più di una ventina di minuti,
torna e si mette a dormire, forse per i farmaci. Raccontano che il suo
corpo era rosso dai lividi delle manganellate.

Il giorno dopo si sveglia, aveva accettato di essere estradato e
riportato in Georgia, i compagni di prigionia dicono che gli fosse stato
detto di fare le valigie per partire. Alle 20 però torna.

Sta presumibilmente due giorni nel CPR, sta male, per le manganellate e
per il colpo nello stomaco, chiede aiuto senza essere soccorso.

Allora comincia a gridare, arriva la polizia che chiede a un suo
compagno di cella di collaborare passandogli fuori un ferro. Quando V.
lo vede aiutarli si arrabbia e i due iniziano a litigare, allora la
polizia entra e in otto accerchiano V., iniziano a picchiarlo a sangue,
si buttano su di lui con forza finché non lo fanno cadere e sbatte la
testa contro il muro.

Lo bloccano con i piedi, sul collo e sulla schiena, lo ammanettano e lo
portano via. “Lo stavano tirando con le manette come un cane, non puoi
neanche capire, questo davanti a noi tutti” ci ha spiegato un altro suo
compagno recluso.

Non dicono più niente a nessuno, raccontano agli altri detenuti che lo
stanno processando. Poi ieri qualcuno origlia una conversazione e scopre
che è morto. I compagni avvisano la moglie a casa, lei chiama il CPR e
nessuno le risponde.

Vakhtang è stato ammazzato di botte dalle guardie del CPR

https://nofrontierefvg.noblogs.org/
https://www.facebook.com/nocprfvg/

AL CPR DI GRADISCA SI MUORE. DOMANI 19 GENNAIO, H. 14.30 A GRADISCA

CONTRO TUTTI I CPR

ALLE 14.30 PUNTUALI A GRADISCA, SULLA SR305,  ALL’ALTEZZA DEL CENTRO COMMERCIALE “LA FORTEZZA”

V. E., di trentasette anni, georgiano, è morto nel Cpr di Gradisca d’Isonzo (GO), a un mese esatto dalla sua apertura.

Un gruppo di solidali si è trovato stasera sotto il Cpr  ed è riuscito a comunicare con i reclusi. Le persone rinchiuse hanno negato che ci sia stata una rissa tra di loro, come invece riportano i giornali.

Questo è quello che in realtà succedeva ieri all’interno del CPR:

A GRADISCA SI MUORE: SAPPIAMO CHI È STATO

Negli ultimi giorni V.E. si era fatto male allo stomaco, con un ferro, in circostanze che non ci sono ancora chiare. Le voci dei suoi compagni reclusi ci dicono che ieri otto poliziotti in tenuta antisommossa l’avevano raggiunto nella sua cella e l’avevano accerchiato. Lui era caduto, sbattendo la testa. A quel punto, dei poliziotti gli avevano messo i piedi sul collo e sulla schiena e l’avevano portato via ammanettato.

Poi è morto. La sua morte non è stata comunicata ai compagni reclusi, che ne sono comunque venuti a conoscenza e che ora ripetono che V.E. ha subito violenze da parte delle forze dell’ordine.

Domani ci troviamo per mostrare la nostra solidarietà a chi è rinchiuso nel lager di Gradisca e sta subendo la violenza della repressione mista al dolore della morte di un compagno.

DI CPR SI E’MORTI, SI MUORE E SI CONTINUERA’ A MORIRE FINCHE’ NON VERRANNO TUTTI ABBATTUTI

LIBERE TUTTE! LIBERI TUTTI!

Ultime dal lager di Gradisca

In seguito agli episodi di autolesionismo, le 3 fughe (di cui purtroppo una terminata a Verona) e un tentativo di suicidio di un ragazzo tunisino ad inizio anno, nella notte di sabato 11 i militari sono entrati nelle celle del CPR di Gradisca, hanno picchiato ed hanno preso le sim card di alcune delle persone con cui si era riusciti a parlare durante il presidio del pomeriggio.
Domenica 12 gennaio dalle 14:00 alle 16 ci sono state rivolte all’interno, nell’ala più vicina alla strada dove ci sono 5 celle da 6 persone ciascuna. Le persone recluse sono riuscite a rompere i vetri, a staccare i letti a raggiungere il muro e 8 sono riusciti a saltare oltre il muro. 3 sono stati riportati dentro il centro e picchiati, 5 sono riusciti a scappare, tra di loro alcuni ragazzi molto giovani. Un ragazzo dei 3 che sono stati riportati al CPR è stato portato in ospedale, un altro sta male. Un ragazzo marocchino oggi ha tentato di suicidarsi ed è stato fermato dagli altri.
Nella notte tra ieri e oggi ci sono stati materassi in fiamme per riscaldarsi e vengono sparati gli estintori dentro le celle.

Nel mentre, l’infame prefetto di Gorizia Massimo Marchesiello insieme all’attento servo giornalista del Piccolo Luigi Murciano hanno il coraggio di parlare di episodi di allontanamento volontario dalla struttura, trattandosi solamente di una “detenzione amministrativa”. Ragione per cui all’interno delle medesime strutture non sono presenti operatori di polizia penitenziaria, ma
solo operatori delle cooperative sociali (nel caso di Gradisca d’Isonzo,
l’impresa padovana Edeco).
Secondo questa gente infatti i prigionieri ingoiano lamette e tentano di uccidersi quando invece potrebbero tranquillamente lasciare un campo di concentramento circondato da mura, grate, telecamere e filo spinato e dove i militari utilizzano idranti, estintori e pestaggi sistematici su richiesta dei secondini della cooperativa EDECO.

Pagherete caro e pagherete tutto

Fuoco a tutti i CPR e a tutte le galere

Finchè tutte e tutti saranno liberi/e

 

COMUNICATO PER LA MORTE DI SAJID HUSSAIN

Dall’assemblea NO CPR / NO FRONTIERE

COMUNICATO PER LA MORTE DI SAJID HUSSAIN


Sajid Hussain aveva 30 anni ed era originario del Parachinar, in Pakistan. Era arrivato in Europa qualche anno fa. Dalla Germania, dove aveva chiesto l’asilo politico e aveva vissuto alcuni anni, si era poi spostato in Italia, come molti suoi connazionali: tuttavia la sua richiesta d’asilo in Italia si era arenata in quanto il Paese di competenza – secondo il regolamento di Dublino II (2003/343/CE) – era la Germania, dove però le persone originarie del Parachinar difficilmente ricevono la protezione, al contrario di quanto avviene nel resto dell’Unione europea. In Italia, era entrato nel sistema di accoglienza a Staranzano (GO): era stato seguito dal Centro di Salute Mentale di Monfalcone. A seguito del cosiddetto Decreto Sicurezza e del conseguente smantellamento del sistema SPRAR di accoglienza diffusa, era stato trasferito, insieme ai suoi compagni, nel CARA di Gradisca d’Isonzo, gestito dalla cooperativa Minerva.

Otto mesi fa, aveva chiesto di avviare la procedura per il cosiddetto rimpatrio volontario assistito, gestito dall’agenzia dell’ONU per le migrazioni (IOM/OIM): il rimpatrio volontario è una misura di controllo e contrasto all’immigrazione, attraverso la quale uno Stato (o un’organizzazione internazionale) danno un sostegno economico alle persone che decidono di rientrare nel loro Paese di provenienza. Il processo di rimpatrio assistito di Sajid Hussain era bloccato per mancanza di fondi, come è stato per mesi per tutti quelli gestiti da IOM/OIM. Sajid chiedeva insistentemente di essere rimpatriato o rimandato in Germania: per dimostrare questo suo desiderio, circa quattro mesi fa aveva stracciato i suoi documenti.

Sajid si è annegato nell’Isonzo a Gorizia il 14 giugno, dopo essere stato in Questura a chiedere se si fosse sbloccata la sua procedura di rimpatrio.

La vita di Sajid Hussain interseca in più punti l’insostenibilità del governo europeo delle migrazioni: un sistema che l’ha costretto a un ingresso pericoloso e illegale; che l’ha inserito in un database di sorveglianza (Eurodac); che gli ha vietato di scegliere il Paese dove vivere e l’ha costretto a tentare la procedura di asilo in Italia; che l’ha sottoposto a un processo per la richiesta d’asilo lungo e precarizzante; che lo ha costretto a vivere in una struttura affollata e non adatta alla vita delle persone; che non l’ha tutelato per i suoi problemi psichici; che non gli ha permesso di scegliere di tornare indietro, ingabbiandolo in una strada senza uscita. Il suicidio di Sajid è anche una conseguenza diretta di questo sistema: è la scelta di una persona senza possibilità di scelta; è la scelta di una persona che, come tante altre, viveva le condizioni materiali di invisibilità e disumanizzazione alle quali è sottoposta/o chi entra in Europa illegalmente. Il suicidio di Sajid è una morte di Stato.

Se il Decreto sicurezza, con lo smantellamento del sistema SPRAR e l’eliminazione della protezione umanitaria, ha reso la vita in Italia dei/lle richiedenti asilo ancora più dura, è anche vero che in Italia l’immigrazione è sempre stata gestita come un fenomeno da controllare, incanalare e reprimere, secondo le necessità del mercato del lavoro. In questo razzismo istituzionale, che fonda lo Stato italiano come è oggi, sta l’origine dello sfruttamento delle migrazioni e dell’accettabilità dell’idea stessa che le persone richiedenti asilo possano essere ammassate in una struttura come il CARA di Gradisca, isolate, infantilizzate e costrette a un’attesa lunga mesi. A fianco a quel luogo, il CARA, dovrebbe essere presto aperta una prigione per persone irregolari: il Centro Permanente per il Rimpatrio (CPR), voluto dal Decreto Minniti-Orlando. L’apertura del CPR – di fatto un lager per le persone rinchiuse – porterebbe anche a un aumento del controllo poliziesco sulle vite delle persone che vivono nel CARA, oltre a essere per loro una minaccia visibile di espulsione e rimpatrio.

Il suicidio di Sajid, morto di Stato, segue (almeno) altri quattro suicidi che sono avvenuti negli ultimi due anni tra i richiedenti asilo in Friuli-Venezia Giulia. Questa invisibilità che si fa visibile per un giorno come notizia di cronaca nera è un richiamo potente all’evidenza della brutalità del sistema delle frontiere, che crea una gerarchia mortale tra gli abitanti del mondo. La lotta per la distruzione di tutti i confini è una lotta per la libertà di tutt*.

Assemblea NO CPR – no frontiere FVG
nofrontierefvg.noblogs.org

 

16/12 Testimonianze raccolte in occasione del presidio solidale

video : IMG_8761

English below.
Italiano sotto.

This is an example of the food that is served to the migrants in the Cavarzerani camp. On November 15, during the night, they started a protest against the revolting slop that is prepared for them by the CAMST food service (which has various headquarters in Udine). Additionally, the migrants cannot prepare their own food autonomously, as it has been forbidden by the Red Cross “soldiers” who manage the camp. Instead, they have to gather in a dining hall without heating, an element that is also missing in their dorms.
In the recent past, the camp has held up to 400-500 people. After the first demonstration outside the camp on December 15, however, as much as 150 migrants were transferred to other cities (Roma, Napoli, Torino…). Those who weren’t deported are facing even stricter rules than before, as they have to show their document and identification bracelet three times a day so as not to be denied their meals. Tardiness, even a 5-minute delay, is sanctioned with humiliating punishments, such as cleaning shifts.
The camp doctor, who visits a maximum of 10 people per day to avoid getting worn out, dumps paracetamol on anyone for any type of problem.
A migrant was admitted to hospital for 22 days, but the ambulance was called an hour and a half late, and only after repeated complaints. When he came back, he was asked where he had been (even though the hospital doctor had called the Red Cross guards to inform them) and was told that he had been deleted from the building’s register. At first he was also denied his pocket money, and managed to receive it only after insisting.
Legal assistance is not available.
In the summer of 2018, different people from the so-called “reception network” committed suicide in Udine: all the deaths were dismissed by the media and the police as the consequences of self-harm. At least two of them happened in the Cavarzerani camp.
The people living in the camp also reported that a boy with obvious signs of emotional and psychological instability was found dead in his room inside one of the facilities; he was then allegedly brought away by the police during the night and his body was found hanging from a big tree in front of the entrance gate the next morning.

Questo è un esempio del cibo destinato ai migranti nel campo della Cavarzerani, che nella notte del 15 novembre scorso hanno dato vita ad una protesta in risposta a questo schifo quotidiano preparato dall’azienda della ristorazione CAMST (con diverse sedi ad Udine). Ad essi è infatti proibito dai soldatini della croce rossa che gestiscono il campo, di prepararsi il cibo in autonomia. Devono però riunirsi in una mensa non riscaldata, così come le camerate da letto.

In seguito alla protesta il cibo continua ad essere di pessima qualità, ma quantomeno non arriva già avariato (larve nella carne, muffa).

Il campo è arrivato a contenere fino a 400-500 persone, anche se dopo un primo presidio fuori dalla caserma il 15 dicembre, ben 150 sono stati trasferiti verso altre città (Roma, Napoli, Torino..). A coloro che non sono stati deportati sono state imposte regole interne ancora più restrittive, come mostrare il documento e il braccialetto di riconoscimento tre volte al giorno, pena l’esclusione dai pasti. Ogni ritardo, anche di soli 5 minuti, viene sanzionato con punizioni umilianti, ad es. turni di pulizie.

Il medico del campo, che visita al massimo 10 persone al giorno per non sciuparsi troppo, rifila paracetamolo a tutti per qualsiasi problema. Un migrante è stato ricoverato in ospedale per 22 giorni, anche se prima del ricovero l’ambulanza è stata chiamata solo in seguito a ripetute proteste e con un’ora e mezzo di ritardo. Al ritorno gli è stato pure chiesto dove fosse stato (nonostante il medico dell’ospedale avesse chiamato i secondini della CR) e gli è stato riferito della sua cancellazione dal registro della struttura. Inoltre gli è stato negato il pocket money, che gli spettava di diritto, cifra che poi gli è corrisposta solo dopo diverse insistenze.

L’assistenza legale è inesistente.

Venendo all’estate del 2018, diverse persone si sono suicidate ad Udine nel circuito della così detta accoglienza: le morti sono state tutte liquidate dai media e dalla polizia come suicidi o conseguenze di autolesionismo. Almeno due di essi hanno coinvolti migranti del campo della Cavarzerani.

Si ha notizia da parte di chi vive nel campo che un ragazzo con evidenti segni di instabilità emotiva e psichica, è stato trovato impiccato nella sua stanza all’interno di una struttura; il secondo sarebbe stato prelevato dalla polizia nella notte e ritrovato la mattina seguente impiccato al grande albero davanti al cancello di ingresso.