27GENNAIO-2FEBBRAIO: SETTIMANA DI AZIONI E MOBILITAZIONI PER LA CHIUSURA DI TUTTI I CPR, PER LA LIBERAZIONE IMMEDIATA DI TUTTE LE PERSONE RINCHIUSE E PER VAKHTANG.

27GENNAIO-2FEBBRAIO: SETTIMANA DI AZIONI E MOBILITAZIONI PER LA CHIUSURA DI TUTTI I CPR, PER LA LIBERAZIONE IMMEDIATA DI TUTTE LE PERSONE RINCHIUSE IN ESSI E PER VAKHTANG.

Vakhtang è stato ammazzato di botte dalle forze dell’ordine all’interno del CPR di Gradisca.

Ce l’hanno raccontato i reclusi, quella stessa notte del 18 gennaio, quando siamo andate sotto le mura del CPR a parlare con loro, avendo saputo della morte di una persona.

Ce l’hanno gridato, chiamandoci e inviandoci video, con il coraggio di chi sapeva che nessun altro, se non loro, avrebbe fatto uscire quello che era realmente successo lì dentro.

La Questura e la Procura hanno fatto di tutto, fin dall’inizio, per liquidare la sua morte: “migrante morto per rissa” titolavano i giornali il giorno seguente alla pubblicazione della prima notizia da parte di Melting Pot.

Siamo riuscite a far uscire quelle voci, come altrove fanno da anni altri solidali, e da tutta Italia tante persone hanno ascoltato le testimonianze e ci hanno creduto. Anche il giorno successivo, domenica 19, siamo tornate in tante davanti al CPR, mentre i detenuti ci chiamavano, sottraendosi ai pestaggi che – ci dicevano – venivano riservati a chiunque parlasse con chi era fuori. Le direttive sembravano chiare: nessuno doveva più riuscire a comunicare con l’esterno. La notte hanno cercato di sequestrare tutti i cellulari, una “bonifica” che la procura ha giustificato “ai fini dell’indagine”. Quella stessa notte, a sorpresa, un deputato ed un avvocato si sono presentati in visita al CPR, trovando le forze dell’ordine in assetto antisommossa che parlavano del sangue presente nella struttura.

La stampa ha iniziato a riportare la versione dei compagni di Vakhtang: per un giorno è uscito che qualcuno diceva fosse stato ammazzato di botte, un “Cucchi” straniero e non in carcere. Prontamente il procuratore ha dichiarato che erano “tutte illazioni” e il 21 alle 4 di mattina sono stati deportati in Egitto, senza che nessuno lo sapesse, i tre compagni di cella di Vakhtang, che erano tra coloro che si erano detti disponibili a testimoniare. Questo è il modo in cui la “procura sta indagando”, come ci dicono i giornali.

Quando la verità di chi aveva assistito è iniziata a filtrare, la stampa ha iniziato a etichettare l’assemblea che sta diffondendo le voci dei reclusi come gruppo di ultras e incitatori di rivolte -come se le rivolte necessitassero d’incitazione dall’esterno-, cercando di delegittimarla. In contemporanea, si sono seguiti molteplici tentativi di minare la credibilità dei reclusi. Vakhtang è stato descritto come violento, tossico e autolesionista, forse sperando che in questo modo l’empatia verso la sua morte si esaurisse. I reclusi in generale sono stati definiti stupratori, spacciatori, criminali.

Vakhtang era una persona, viva, con i propri sogni, rinchiusa in un girone infernale creato da leggi razziste. I reclusi e le recluse in tutti i CPR d’Italia sono persone, rinchiuse dentro lager esclusivamente per non avere i documenti in regola.

Nei CPR in Italia ci sono alcune centinaia di persone e non sempre la reclusione si conclude con la deportazione, spesso le persone vengono liberate con un “foglio di via” che le costringe a vivere in stato di clandestinità.

Le persone deportate, invece, si ritrovano costrette nel loro Paese d’origine senza la possibilità di tornare in Italia, dove hanno vita e affetti, ricondotte al punto di partenza di un viaggio terrificante già affrontato. La minaccia della deportazione è la più grande che una persona non comunitaria possa ricevere: i CPR, teatri di abusi e peggiori delle carceri, servono a rendere reale quella minaccia. Tutto ciò è utile affinché le persone debbano accettare condizioni di lavoro disumane, pur di mantenere un contratto, vincolato al permesso di soggiorno.

La legalità farà il suo corso, perché delle persone vi si dedicheranno, e forse un giorno qualcuno sarà giudicato colpevole. Adesso, però, spetta a noi non permettere che l’omicidio di Vakhtang passi sotto silenzio e fare il possibile perché tutti i CPR chiudano per sempre.

Incoraggiate dalla risposta solidale ricevuta da tutta Italia, lanciamo una chiamata per una settimana di azioni e mobilitazioni per la chiusura di tutti i Cpr, per la liberazione immediata delle persone rinchiuse in essi e per Vakhtang.

Invitiamo quindi tutti i singoli, le assemblee, i gruppi, le associazioni, le organizzazioni, i comitati a fare il possibile verso lo stesso obbiettivo. Convinti che ognuno possa esprimere la sua rabbia e il suo dissenso nel modo che ritiene opportuno, pensiamo ora sia il momento di farlo.

Che chiunque si organizzi nel luogo dove vive. Facciamo in modo che questi luoghi infernali chiudano.

-se volete inviarci le iniziative o azioni per ricapitolarle in un futuro potete scrivere a : nocprnofrontieretrieste@riseup.net

VAKHTANG ENUKIDZE È STATO AMMAZZATO DI BOTTE DALLE FORZE DELL’ORDINE DENTRO IL CPR.

OGGI MANIFESTAZIONE PARTENZA ALLE 14:30 PUNTUALI DAL PARCHEGGIO AL LATO DEL CPR.

AGGIORNAMENTI:
Ieri, nella necessità di diffondere la manifestazione di solidarietà il
prima possibile siamo riusciti a riportare solo una prima ricostruzione
parziale di ciò che era successo. Qui gli aggiornamenti ottenuti tramite
le testimonianze dei compagni di prigionia, che ci hanno chiesto di
diffondere le loro parole oltre quelle mura [su facebook e sulla pagina
web potete trovare l’audio]:

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È inizio settimana, Vakhtang non trova il telefono, non vuole tornare in
cella, resiste, viene picchiato finché non ne può più. Viene buttato in
cella, nella rabbia prende un ferro in mano e si fa male allo stomaco.
Dopo viene portato in infermeria, non più di una ventina di minuti,
torna e si mette a dormire, forse per i farmaci. Raccontano che il suo
corpo era rosso dai lividi delle manganellate.

Il giorno dopo si sveglia, aveva accettato di essere estradato e
riportato in Georgia, i compagni di prigionia dicono che gli fosse stato
detto di fare le valigie per partire. Alle 20 però torna.

Sta presumibilmente due giorni nel CPR, sta male, per le manganellate e
per il colpo nello stomaco, chiede aiuto senza essere soccorso.

Allora comincia a gridare, arriva la polizia che chiede a un suo
compagno di cella di collaborare passandogli fuori un ferro. Quando V.
lo vede aiutarli si arrabbia e i due iniziano a litigare, allora la
polizia entra e in otto accerchiano V., iniziano a picchiarlo a sangue,
si buttano su di lui con forza finché non lo fanno cadere e sbatte la
testa contro il muro.

Lo bloccano con i piedi, sul collo e sulla schiena, lo ammanettano e lo
portano via. “Lo stavano tirando con le manette come un cane, non puoi
neanche capire, questo davanti a noi tutti” ci ha spiegato un altro suo
compagno recluso.

Non dicono più niente a nessuno, raccontano agli altri detenuti che lo
stanno processando. Poi ieri qualcuno origlia una conversazione e scopre
che è morto. I compagni avvisano la moglie a casa, lei chiama il CPR e
nessuno le risponde.

Vakhtang è stato ammazzato di botte dalle guardie del CPR

https://nofrontierefvg.noblogs.org/
https://www.facebook.com/nocprfvg/

AL CPR DI GRADISCA SI MUORE. DOMANI 19 GENNAIO, H. 14.30 A GRADISCA

CONTRO TUTTI I CPR

ALLE 14.30 PUNTUALI A GRADISCA, SULLA SR305,  ALL’ALTEZZA DEL CENTRO COMMERCIALE “LA FORTEZZA”

V. E., di trentasette anni, georgiano, è morto nel Cpr di Gradisca d’Isonzo (GO), a un mese esatto dalla sua apertura.

Un gruppo di solidali si è trovato stasera sotto il Cpr  ed è riuscito a comunicare con i reclusi. Le persone rinchiuse hanno negato che ci sia stata una rissa tra di loro, come invece riportano i giornali.

Questo è quello che in realtà succedeva ieri all’interno del CPR:

A GRADISCA SI MUORE: SAPPIAMO CHI È STATO

Negli ultimi giorni V.E. si era fatto male allo stomaco, con un ferro, in circostanze che non ci sono ancora chiare. Le voci dei suoi compagni reclusi ci dicono che ieri otto poliziotti in tenuta antisommossa l’avevano raggiunto nella sua cella e l’avevano accerchiato. Lui era caduto, sbattendo la testa. A quel punto, dei poliziotti gli avevano messo i piedi sul collo e sulla schiena e l’avevano portato via ammanettato.

Poi è morto. La sua morte non è stata comunicata ai compagni reclusi, che ne sono comunque venuti a conoscenza e che ora ripetono che V.E. ha subito violenze da parte delle forze dell’ordine.

Domani ci troviamo per mostrare la nostra solidarietà a chi è rinchiuso nel lager di Gradisca e sta subendo la violenza della repressione mista al dolore della morte di un compagno.

DI CPR SI E’MORTI, SI MUORE E SI CONTINUERA’ A MORIRE FINCHE’ NON VERRANNO TUTTI ABBATTUTI

LIBERE TUTTE! LIBERI TUTTI!

Ultime dal lager di Gradisca

In seguito agli episodi di autolesionismo, le 3 fughe (di cui purtroppo una terminata a Verona) e un tentativo di suicidio di un ragazzo tunisino ad inizio anno, nella notte di sabato 11 i militari sono entrati nelle celle del CPR di Gradisca, hanno picchiato ed hanno preso le sim card di alcune delle persone con cui si era riusciti a parlare durante il presidio del pomeriggio.
Domenica 12 gennaio dalle 14:00 alle 16 ci sono state rivolte all’interno, nell’ala più vicina alla strada dove ci sono 5 celle da 6 persone ciascuna. Le persone recluse sono riuscite a rompere i vetri, a staccare i letti a raggiungere il muro e 8 sono riusciti a saltare oltre il muro. 3 sono stati riportati dentro il centro e picchiati, 5 sono riusciti a scappare, tra di loro alcuni ragazzi molto giovani. Un ragazzo dei 3 che sono stati riportati al CPR è stato portato in ospedale, un altro sta male. Un ragazzo marocchino oggi ha tentato di suicidarsi ed è stato fermato dagli altri.
Nella notte tra ieri e oggi ci sono stati materassi in fiamme per riscaldarsi e vengono sparati gli estintori dentro le celle.

Nel mentre, l’infame prefetto di Gorizia Massimo Marchesiello insieme all’attento servo giornalista del Piccolo Luigi Murciano hanno il coraggio di parlare di episodi di allontanamento volontario dalla struttura, trattandosi solamente di una “detenzione amministrativa”. Ragione per cui all’interno delle medesime strutture non sono presenti operatori di polizia penitenziaria, ma
solo operatori delle cooperative sociali (nel caso di Gradisca d’Isonzo,
l’impresa padovana Edeco).
Secondo questa gente infatti i prigionieri ingoiano lamette e tentano di uccidersi quando invece potrebbero tranquillamente lasciare un campo di concentramento circondato da mura, grate, telecamere e filo spinato e dove i militari utilizzano idranti, estintori e pestaggi sistematici su richiesta dei secondini della cooperativa EDECO.

Pagherete caro e pagherete tutto

Fuoco a tutti i CPR e a tutte le galere

Finchè tutte e tutti saranno liberi/e